Balbuzie no limits: la storia di Luigi

Balbuzie no limits

Questo articolo racconta la storia di Luigi che ha curato la sua balbuzie seguendo la terapia ideata e applicata dal Dr. Enrico Caruso. La testimonianza diretta dell’interessato descrive il suo percorso faticoso ma alla fine vincente per superare questo disturbo invalidante.

Il Parere del Dr. Enrico Caruso

Cosa vuol dire balbuzie senza limiti?

In questo articolo voglio presentarvi la storia di Luigi. Lui è un avvocato, un ragazzo che conobbi circa 30 anni fa. Oggi ha quasi l’età di 60 anni.

 

Cosa successe 30 anni fa e cosa è successo oggi. Quindi andiamo a vedere i risultati di Luigi dopo circa 30 anni. Quindi la domanda che vi pongo, ma la balbuzie è veramente curabile? 

Si cura semplicemente con una tecnica come ad esempio  articolare bene o mettendo una patata in bocca?

Personalmente non credo in una tecnica principe per la cura della balbuzie. Ogni tecnica, come dico sempre, è condizione necessaria ma non sufficiente. La tecnica deve arrivare a produrre dei risultati nel breve tempo possibile, cioè, si parla di obiettivi a breve termine, per poi, mediante un lavoro psicologico ad hoc, operare nella trasformazione
Senza questo lavoro quindi alla radice del problema, la balbuzie non si cura perché rimane una parte della personalità e quindi la persona tenderà sempre di più a mascherarlo. La balbuzie si cura, il miglioramento può esserci all’ottanta, novanta ma anche cento per cento, ma il linguaggio rimane un organo bersaglio per cui va curato continuamente e con un lavoro profondo che possa portare la persona a sviluppare un progetto nella sua vita. Il linguaggio non è  solo un modello, una tecnica o qualcosa che devo esercitare, esercitare in senso meccanico, il linguaggio è una parte della mia vita. Quindi come parlo sono e se questo l’essere, quindi questo se non viene modificato sarà difficile modificare una parte della mia personalità. Questo è il principio.

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La vittoria di Luigi

Cosa è successo a Luigi 30 anni dopo il nostro lavoro e quindi la nostra cura che abbiamo fatto assieme quindi in un percorso tecnico e psicologico ce lo racconterà in un video.

Ma voglio fare una breve introduzione. Era un ragazzo che veniva dal sud circa 30 anni fa e doveva quindi adattarsi a Milano per fare che cosa? L’avvocato.

Voi immaginate una persona fragile quindi con un problema di balbuzie cimentarsi con una città molto competitiva, molto complicata e quindi arrivare a questo obiettivo? Vi posso dire che oggi ce l’ha fatta.

Quindi qual è il messaggio di ciò che voglio dirvi? Che è possibile raggiungere degli obiettivi ma non soffermatevi sul linguaggio.

Non soffermatevi sul metodo principe che deve risolvere chissà che cosa. Perché? Perché il vero metodo sei tu. La tecnica è solo una parte per switchare dall’altra parte e chi ne parla non è solo lo psicoterapeuta, in questo caso sarei io, ma è anche un ex balbuziente che ha sofferto e che oggi vuole portarti il messaggio di una grande speranza purché tu possa allargare la tua testa e cominciare guardare la balbuzie da diversi punti di vista.

Guardiamo la storia di Luigi e vediamo che cosa è successo. Ti aspetto al prossimo video.

La storia di Luigi – Avvocato

Sono Luigi, di mestiere faccio l’avvocato. Ho 59 anni ancora per qualche giorno e sono nato a Reggio Calabria, quindi non sono milanese, lo sono diventato di adozione, sono qui da 35 anni e mi trovo bene anche se Milano in tutti questi anni è molto cambiata.

Il mio lavoro come ho detto è l’avvocato è fare l’avvocato e l’avvocatura e mi occupo essenzialmente di diritto commerciale e di contrattualistica, non faccio per così dire cause, non vado davanti al tribunale.

La balbuzie

Il mio mestiere è un mestiere che mi ha… che è fondato sulla parola e quindi è stato una specie di scommessa perché da ragazzo, cioè fin da bambino diciamo, ho iniziato a soffrire di balbuzie, e quindi con il passare degli anni questo problema si è manifestato sempre più forte, cioè si è manifestato in modo sempre più consistente. Però ho provato nel corso degli anni a confrontarmi con questa difficoltà, mi sono laureato e una volta arrivato a Milano ho affrontato definitivamente o, meglio, ho provato ad affrontare definitivamente la balbuzie. Che balbuzie poi vuol dire tutto e niente, nel senso che balbuzie vuol dire anche difficoltà di comunicazione, perché anche persone che non balbettano hanno difficoltà di comunicazione, di esprimersi, di entrare in relazione con gli altri, che poi è in poche parole l’essenza del mio mestiere, cioè del mestiere dell’avvocato ma anche del mestiere di tante altre persone.

La decisione di superare la balbuzie

Ho affrontato, ho deciso a suo tempo, ma parlo di 30 anni fa più o meno, ho deciso di affrontare questo percorso, ho conosciuto l’Equipe Logodinamica ed Enrico Caruso, e con il quale abbiamo affrontato la balbuzie, ma in particolare le cause della balbuzie, cioè quello che sin da subito mi ha conquistato, diciamo così, del metodo di Enrico è stato l’accento sulle cause e non sugli effetti, il lavorare cioè non sul sintomo, ma sui motivi che quel sintomo ha provocato,  che significa per chi sceglie quella strada mettersi in gioco.

Il percorso verso la guarigione

Come tutti percorsi complicati, ha avuto momenti belli, bellissimi, brutti e bruttissimi. Ci sono state cadute, ci sono state grandi salite, alla fine, abbiamo creduto di aver superato in larga parte quel disturbo e soprattutto di aver creato un modo di relazionarmi con gli altri, che è forse più sano di come sarebbe stato se io non avessi affrontato questo percorso.

Il valore della Comunicazione

Il valore della comunicazione per me è essenzialmente la relazione.

La comunicazione è entrare in relazione con qualcuno.

Uno crede che la comunicazione, il public-speaking, sia il convincimento, cioè, sia parlare per convincere qualcuno.

Certo, lo è anche, però in realtà il public-speaking è esprimere concetti o a seconda dei contesti, esprimere emozioni, esprimere sensazioni.

Comunque, è comunicare, entrare in relazione con chi ti è davanti o con chi ti è accanto.

In Italia non c’è l’abitudine a scuola di imparare a comunicare.

Gli italiani amano sentirsi parlare.

Io ho avuto molto a che fare con gli stranieri, soprattutto con gli anglosassoni.

In questo si può dire che gli americani sono migliori.

E, sin da subito, gli americani ti insegnano a comunicare.

E soprattutto in un contesto professionale o in un contesto di studio, didattico.

Dove tu devi un po’ cedere il passo al narcisismo.

È ovvio, quando si parla in pubblico, l’aspetto narcisistico c’è sempre, in misura più o meno importante.

Però, è altrettanto vero che, quando si parla per far passare un messaggio didattico, piuttosto che un messaggio professionale, bisogna selezionare in modo molto serio gli argomenti.

E rimanere su quelli. Non cedere alla voglia appunto narcisistica di sentirsi parlare, di riscuotere, tra virgolette, un applauso.  Quello che è davvero importante è far arrivare il messaggio che vuoi far passare.

E per me la comunicazione è questo. La comunicazione non interrotta.

In quegli anni, tra l’altro, io ho capito che, per esempio, la balbuzie, in qualche caso, mi torna, per così dire, si ripresenta, in contesti in cui non ho fatto questo lavoro di selezione degli argomenti, non mi sono preparato.

Ed è una cosa singolare, perché a me piace invece l’andare a braccio.

Però, in certi contesti, l’andare a braccio rischia di lasciarci improvvisamente senza parole.

Perché non si è costruito il percorso argomentativo che hai in mente.

Certo, poi c’è sempre spazio un po’ all’improvvisazione, perché può arrivare la domanda che non ti aspetti, può arrivare quella situazione in cui devi reagire velocemente anche se non ti sei preparato.

Però una struttura di base ci vuole sempre, anche per rispetto dell’interlocutore, perché sennò sembra quasi che uno vada a parlare in pubblico, o a parlare al pubblico o ad altre persone, in un contesto professionale, per esempio, senza aver dedicato a quell’incontro, a quell’occasione, l’attenzione che è necessario invece dare.

La cura

Il mio percorso di cura è stato un percorso molto complesso.

Nel senso che si è partiti dall’analisi del perché io soffrissi quei blocchi improvvisi.

Perché poi la cosa singolare che avevamo riscontrato, all’inizio della terapia, del percorso di cura, era che in certi momenti, per esempio io quando facevo l’esame all’università, credo una volta sola che avrei avuto problemi di Balbuzie.

Ma ero perfettamente a mio agio, invece, in tanti esami.

E nessuno avrebbe pensato che io soffrivo di Balbuzie.

Ma bastava mettermi al telefono, oppure bastava mettermi a leggere qualcosa in pubblico per procurarmi dei blocchi spaventosi.

E allora il percorso di cura è partito dall’affrontare, questi blocchi e da vederli un po’ frammento per frammento, come una sequenza fotografica dove ti fermi su un frammento della pellicola e cerchi di capire perché c’è quella immagine.

Poi il percorso di cura si è in un certo senso evoluto.

Perché, quando poi si sono individuate le cause, il lavoro è stato di affrontarle.

E affrontarle da un punto di vista anche morale, con una verità, cioè, affrontarle sapendo che c’era dietro qualcosa di complesso, che non era facile da risolvere, però che andava visto, andava guardato con attenzione, andava, non dico superato, però andava compreso e sentito.

Doveva diventare parte della mia vita.

La Balbuzie, ma così come le difficoltà di comunicazione, noi tendiamo a nasconderle.

Ogni volta che nascondi qualcosa, quel qualcosa si vendica.

Si vendica con l’ansia, si vendica con le difficoltà, si vendica soprattutto con le difficoltà relazionali, si vendica con la depressione.

E quindi nascondere la polvere sotto il tappeto fa sì che prima o poi il tappeto non sia più percorribile, perché ormai è diventato tutto nuovo ed è pieno di polvere sotto.

Quindi occorre affrontare le difficoltà e andare avanti.

Questo concetto sembra banale, lo dicono tutti, ma andare avanti, se lo fai veramente, in qualche caso può essere anche complicato, può essere faticoso, perché non hai subito il risultato che ti aspetti.

Il lavoro che abbiamo fatto con Enrico Caruso è un lavoro che non è mai stato quello della Pillola Magica.

La Pillola Magica non esiste. Io ho visto tanti dei miei compagni in terapia, per così dire, perché nella prima fase era una terapia di gruppo, diciamo così, c’era un gruppo di pochi ragazzi che con me partecipavano a varie sessioni con Enrico, e ho visto tanta gente che scappava, per così dire, perché a un certo punto si rendeva conto che non c’era la Pilloletta Magica come per le diete: sette chili, sette giorni.

Non era così e quindi quando si capiva la difficoltà del processo, perché è un processo, è un andare verso, quando si capiva questa difficoltà allora, o si scappava o si rimaneva lì e lo si affrontava. Io l’ho affrontata.

Nell’arco degli anni, poi, quando le difficoltà di espressione, la balbuzie è andata riducendosi fino in qualche caso a scomparire, allora il mio percorso, che a quel punto è diventato mio perché ero stato messo sulle mie gambe da Enrico, ho incominciato a camminare da solo e ho incominciato ad apprezzare paradossalmente le difficoltà.

Perché con quelle difficoltà, Io ho, in un certo senso, imparato a conoscere la relazione e a capire che non è importante parlare bene a una persona che hai di fronte o parlare bene in una lezione che tieni perché magari sei coinvolto in qualche progetto educativo o didattico, ma parlare, e parlare bene, significa entrare, come ho detto prima, in un rapporto con chi ti è davanti.

Soprattutto dire qualcosa.

Non è un aspetto narcisistico, guarda che sono bravo e guarda che paroloni uso e guarda che facilità di espressione, che è tutto l’opposto della relazione.

Io sono chiuso nel mio narcisismo, sono una specie di atomo e penso soltanto a me stesso.

Invece, e come spesso insegnano anche gli americani, parlare in occasioni pubbliche, in public-speaking, è un momento di condivisione dove tu devi fare passare dei concetti.

La grande CONQUISTA

La mia più grande conquista è stata proprio quella…, è stato il passaggio dalla dimensione io voglio parlare in pubblico per far vedere che ho superato il problema, che non ero quel minorato che mi sentivo di essere, ma in realtà il passaggio a io sono io, io provo a essere me stesso e in quello che faccio, anche nelle mie difficoltà, anche in me stesso.

Questa è stata la più grande vittoria, il mio più grande successo.

Capire che nel momento in cui si fa un passo indietro rispetto a tutto quel mondo fatto di recriminazioni, di voglia di rivincita, di vendette, per così dire, di immagini del nostro passato che ti fanno sentire, che ti puntano a una situazione di invalidità, per così dire, perché tu sei sempre lì a rimuginare, quando esci da questo mondo, perché lo hai abbandonato, scappandone, ma quando lo hai elaborato e sei andato oltre, ti si apre una sconfinata prateria in cui ci sei tu che si pone rispetto a quello che c’è intorno.

Questo è stato il mio più grande successo.

Il linguaggio nella professione

Be’ la balbuzie, è inutile nascondercelo, è un fattore limitante.

È un fattore limitante perché nell’avvocatura la parola è importante ed è importante come una sorta di biglietto di presentazione.

Quindi da questo punto di vista la balbuzie è uno ostacolo con il quale bisogna confrontarsi.

E io mi sono confrontato.

A me è successo qualche volta di bloccarmi davanti ad un giudice, di dover inventare delle strategie per venirne fuori, per superare quel blocco quasi nascondendomi.

Quindi sì, è stato un fattore limitante, però nel momento in cui si decide di affrontarlo si trovano delle strategie che man mano ti avvicinano all’obiettivo che è quello di superare la difficoltà, il parlare più fluentemente.

Come ho detto, una delle cose che ho scoperto col tempo è quella che se ci si prepara, anche soltanto con un piccolo appunto che si tiene sotto gli occhi quando si sta parlando seduti al tavolo o anche davanti a un video, quella fune, una specie di scaletta, aiuta a contenere l’ansia da prestazione e così via.

Certo, è vero pure che gli avvocati scrivono.

Molto spesso parlano tanto e scrivono poco e male.

Io nel corso del tempo ho anche affinato una dote credo sia una dote naturale, ossia quella della scrittura, cioè, di esprimermi attraverso la scrittura.

E sempre attraverso la sintesi, così come nel linguaggio cerco di essere il più asciutto possibile nello stile scritto sono ancora più asciutto.

Quindi sì, è stata una bella soddisfazione, guardandomi indietro, vedo anche tanti momenti complicati, momenti duri, dove l’ansia a volte prevaleva, però alla fine ce l’ho fatta.

Potremmo dire che è importante.

La balbuzie nel corso degli anni

Con il passare degli anni, io ho usato spesso questa espressione, con il passare degli anni la comunicazione è molto cambiata.

Oggi la comunicazione è una comunicazione estremamente succinta, estremamente povera di parole e, per quanto possibile, anche quando si parla paradossalmente, visuale.

È un po’ il risultato della prevalenza del linguaggio dei social network, della prevalenza del linguaggio dei mezzi dove, ricordiamo TikTok, dove 30 secondi devono essere sufficienti per dire cose che da ragazzo io ci volevamo ora per dire.

Quindi, col passare di questi, cioè con l’evolversi di questi mezzi di comunicazione, io ho comprovato e provo ancora oggi delle difficoltà a essere veramente in linea con una comunicazione fatta quasi che fossero pull and point, cioè esprimere dei concetti che sono quasi dei titoli e poi aspettare che qualcuno mi faccia una domanda per approfondire quello che ho detto.

Se nessuno fa domande, allora rimane sempre quella sensazione di non aver detto tutto quello che sono io.

Consigli per chi ci segue

Non so se sono in condizioni di dare consigli, così ho parlato con l’esperienza.

Quello che posso dire per esperienza è che, e questo anche perché prima di conoscere il metodo di Enrico Caruso, avevo provato con altri metodi, e confesso anche, che Enrico però lo sa, che durante il nostro lavoro terapeutico i momenti di particolare scoramento mi sono fatto prendere dalla tentazione di cambiare strada.

Ora, la tentazione della pillola magica ce l’abbiamo tutta e però questa tentazione è una tentazione con cui non dobbiamo venire a patti perché è una scorciatoia.

Ora, se io dicessi in questo momento a un balbuziente, ho una pillolina rossa, se la prendi e smetti di balbettare, quello lì sarebbe solo contento.

Quindi se io gli dicessi guarda, smetti di balbettare ma rimani in preda a tutte le tue difficoltà, quelle difficoltà che la balbuzie ti ha causato o che hanno causato la balbuzie con ogni probabilità, quel balbuziente mi direbbe chi se ne frega, io voglio quella pillolina, fammi smettere quest’incubo, fammi uscire da quest’incubo.

Quindi è molto difficile suggerire un percorso alternativo all’idea della pillolina magica, però io qui mi sento di insistere, e mi sento in piena coscienza di dire che non ci sono strade alternative, non esistono scorciatoie, l’unica soluzione che ha un senso è quella del lavoro su sé stessi, e il lavoro su sé stessi non si improvvisa sotto due punti di vista:

  • Uno, c’è bisogno di un professionista capace.
  • Due, c’è bisogno della disponibilità a mettersi in gioco, facile a dirsi ma non farsi

Ogni tanto, per uno di quegli strani giochi di Google, per esempio, può accadere che, se io parlo con qualcuno e dico la parola balbettare, balbuzie, balbuziente, improvvisamente su YouTube mi appaiono video di questi guru della luna.

Ora, non posso parlare nello specifico, né voglio fare nomi ovviamente, però ci sono tanti video che iniziano con questa specie di profeta, il profeta della guarigione, quello che ti porterà fuori da questo inferno e ti accompagnerà nel paradiso.

Nel paradiso della comunicazione dove improvvisamente se sei uomo diventerai brillantissimo e troverai tante fidanzate, se sei donna e diventerai brillantissima e troverai tanti fidanzati tutti ti invidieranno.

È questo approccio miracolistico che è l’approccio che mi fa diffidare.

I miracoli li ha fatti solo uno e ha fatto una bruttissima fine. Quindi io direi che in realtà occorre quanto meno essere alle prese con un professionista che sia in condizioni di suggerirti un percorso terapeutico ma senza questa impostazione miracolistica.

Cioè, che ti dica: questo è un percorso che fino ad ora ha funzionato, sul quale io ho tanta fiducia ma non è un miracolo e non accade domani mattina, né ti porterò ad essere quello che tu una specie di superman per intenderci.

Io ti porto io ti accompagno in un processo e questo processo fino ad oggi ha funzionato se sei disposto a seguirmi, ma a seguirmi veramente poi la strada andremo insieme.

L’augurio è quello di una comunicazione fatta di relazioni di scambio, di emozioni di sensazioni.

Io sono arrivato a 60 anni come ho detto fra qualche giorno e ho capito troppo, troppo tardi che la cosa dell’essere sottesane, dell’essere sotto la lente di ingrandimento è un nostro film, che se riuscissimo a smettere di far passare sugli schermi della nostra mente vivremo molto meglio.

Quindi io vi auguro soprattutto di conoscere uno o più professionisti a confrontarvi con voi stessi e vi auguro un percorso che alla fine vi renda persone migliori di come eravate prima di cominciare.

Questo è l’unico augurio che riesco a fare.

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