Nel pieno della rivoluzione digitale, l’espressione “intelligenza artificiale” è diventata onnipresente. Tuttavia, alcuni esperti – tra cui il Dr. Enrico Caruso, psicoterapeuta – sollevano una critica radicale: parlare di intelligenza riferendosi a un algoritmo è un ossimoro.
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Non solo un sistema automatizzato non è intelligente, ma può contribuire all’impoverimento cognitivo e relazionale dell’essere umano. In altre parole, l’intelligenza artificiale può accelerare la stupidità umana.
In questo articolo approfondiremo:
- perché l’IA è un ossimoro,
- in che modo compromette le capacità umane,
- cosa ne pensa la neuroscienza,
- l’analisi del Dr. Enrico Caruso,
- e quattro strategie concrete per difendersi.
Perché “intelligenza artificiale” è un ossimoro?
Un algoritmo è una sequenza strutturata di istruzioni, pensata per eseguire compiti in modo efficiente. L’intelligenza, al contrario, è qualcosa di molto più complesso: implica emozioni, esperienza, intuizione, coscienza, etica.
Come afferma il Dr. Enrico Caruso:
“Chiamare intelligenza l’operato di una macchina è come definire ‘vita’ il movimento di una bandiera al vento: c’è dinamismo, ma non intenzionalità.”
L’IA, per quanto sofisticata, non ha consapevolezza. Può simulare, prevedere, correggere, ma non comprendere. Questo slittamento semantico ha conseguenze enormi: finiamo per delegare all’IA decisioni, giudizi e funzioni cognitive, illudendoci che siano “oggettive” e “neutrali”.
L’intelligenza artificiale accelera la stupidità umana?
Sì, e a dirlo non sono solo filosofi e psicologi, ma anche ricerche neuroscientifiche.
1. Calo dell’attenzione e della memoria
Diversi studi in ambito neuroscientifico dimostrano che l’eccessiva dipendenza dalla tecnologia riduce la memoria di lavoro e la capacità di concentrazione. Il cervello si adatta: se non alleniamo più la memoria o il ragionamento, quei circuiti neuronali si indeboliscono.
Secondo un recente studio della University College London, gli utenti che si affidano regolarmente agli assistenti digitali mostrano un’attivazione inferiore nella corteccia prefrontale, l’area responsabile delle decisioni complesse.
2. Pensiero pigro e bias confermativi
L’IA propone risposte rapide, soluzioni preconfezionate, consigli personalizzati. Questo favorisce un pensiero pigro, guidato da automatismi e bias cognitivi. Secondo il neurologo Antonio Damasio, “quando deleghiamo il giudizio alla macchina, smettiamo di esercitare le nostre facoltà critiche”.
3. Erosione dell’empatia e delle competenze sociali
Anche la dimensione relazionale viene compromessa. Interagendo sempre più con macchine, perdiamo sensibilità nell’interpretare segnali emotivi reali. La neuroscienza dimostra che le aree empatiche del cervello si attivano meno quando l’interlocutore è percepito come artificiale.
Il punto di vista del Dr. Enrico Caruso
Il Dr. Enrico Caruso, psicoterapeuta e saggista, mette in guardia dalle conseguenze psicologiche e antropologiche dell’IA. Secondo la sua analisi, stiamo assistendo a un paradosso: l’uomo, nel tentativo di potenziarsi attraverso l’IA, sta diventando sempre più simile alla macchina.
“La vera minaccia dell’intelligenza artificiale non è la macchina che pensa, ma l’essere umano che smette di farlo”, afferma Caruso.
Tra le sue principali critiche:
- Delegittimazione dell’intuito: la macchina ragiona per schemi, ma l’essere umano ha bisogno anche di intuizione e sensibilità.
- Fuga dalla responsabilità: affidando le scelte ai sistemi intelligenti, l’uomo si deresponsabilizza.
- Riduzione dell’identità: il soggetto viene ridotto a un profilo dati, perdendo la complessità dell’essere.
Caruso invita a una “resistenza intelligente”, fondata su educazione critica e recupero dell’umano.
Quattro strategie per difendersi dall’intelligenza artificiale
Ecco quattro strategie pratiche – sostenute sia dalla neuroscienza che da approcci psicologici – per non soccombere alla stupidità indotta dall’IA:
1. Riattivare il pensiero critico
Imparare a dubitare, interrogare le fonti, riconoscere i bias e valutare i contesti. In una cultura dominata da scorciatoie cognitive, il pensiero critico è un atto rivoluzionario. Leggere libri, argomentare in profondità, confrontarsi con punti di vista diversi mantiene attivi i circuiti neuronali dell’analisi complessa.
2. Scollegarsi regolarmente
La neuroscienza è chiara: il cervello ha bisogno di tempi di inattività e di silenzio per rielaborare le informazioni. Fare pause digitali, praticare mindfulness, stare nella natura aiuta a riattivare la connettività interna. Anche solo 90 minuti al giorno senza schermi migliorano memoria e creatività.
3. Privilegiare le relazioni umane
Le relazioni reali attivano l’empatia, la reciprocità e la complessità emotiva. Parlare con persone, ascoltare senza mediazioni tecnologiche, vivere il presente rafforza le aree limbiche e prefrontali del cervello.
4. Esigere trasparenza e regolamentazione etica
Diventare cittadini digitali consapevoli significa chiedere trasparenza sugli algoritmi, protezione dei dati e limiti all’automazione delle decisioni pubbliche (come in ambito giudiziario, sanitario o educativo). È fondamentale partecipare al dibattito etico e politico sull’uso dell’IA.
Conclusione: riprendere il controllo dell’intelligenza
L’intelligenza artificiale, se usata senza coscienza critica, non ci rende più intelligenti, ma più prevedibili, controllabili e cognitivamente passivi. La vera intelligenza – quella che integra logica, emozione, etica e creatività – rimane una prerogativa umana.
Il contributo della neuroscienza e il pensiero del Dr. Enrico Caruso ci ricordano che difendersi dall’intelligenza artificiale non significa rinunciare alla tecnologia, ma riconoscere i suoi limiti e coltivare ciò che la macchina non potrà mai replicare: la profondità dell’esperienza umana.